Mi chiamo Omar. Sono scappato dalla mia terra, La Libia,assieme mia mo
Mi chiamo Omar. Sono scappato dalla mia terra, La Libia,assieme mia moglie e al mio bambino, siamo salpati su quella barca maledetta, eravamo ottanta persone circa, di cui molte donne e bambini. Siamo fuggiti dalla ferocia della guerra e dalla fame. Avevamo una speranza: “ la libertà”. Ma giunti vicino alla costa amica della Sicilia il mare ha avvolto, in un abbraccio mortale mia moglie e il mio bambino di tre anni. Li ho visti sparire tra le onde senza neppure il tempo di poterli salutare e abbracciare per l’ultima volta. Il cuore mi è scoppiato e il tonfo è stato talmente forte da coprire le mie urla. Lo sgomento nei miei occhi ha impedito alle lacrime di scendere… sono rimaste lì pietrificate. Conoscevo il dolore e la disperazione dell’uomo privato dalla dignità, nella mia terra esso è sempre stato una costante, è così, perché quando ti tolgono la libertà ti tolgono la vita stessa, per questo siamo fuggiti. Non volevo morire ora che la luce della speranza si era accesa. Volevo vivere, io, insieme alla mia famiglia in una terra libera, ed essa era lì la terra ad un passo da noi. Ora non ho più nulla, nulla per cui lottare, dicono che hanno trovato i loro corpi sulla spiaggia della costa della Libia; sono ritornati a casa come volevano i potenti, quelli che non ci vogliono perché siamo vuoti a perdere, quelli che non hanno mai voluto vedere tutto quello che era sotto gli occhi di tutti, perché facevano affari con i nostri aguzzini. Quelli che, in tutti questi anni, hanno rimandato indietro le barche in Libia nonostante sapessero che quegli esseri umani sarebbero stati rinchiusi nei lager, torturati stuprati e poi abbandonati nel deserto a morire di fame. Trentamila esseri umani scomparsi come polvere nel deserto e tutti sapevano. Ma io ora sono qui e neppure i loro corpi da seppellire e su cui piangere, lo stesso dolore dei miei fratelli, quelli che erano con me su quella barca maledetta; tutti uomini spezzati, come alberi a cui hanno tolto le foglie, cioè, il futuro. Grazie di tutto per il vostro aiuto fratelli siciliani ma ora non voglio più parlare, voglio ascoltare la voce dei miei cari fra le onde e piangere, il mio è un dolore senza confini. E per i potenti dell’opulento occidente dove sta il confine dell’abbrutimento umano? Dove sta la dignità che commisura l’umanità, la pietà, la compassione, il rispetto dell’uomo verso un altro uomo? La stesso rispetto che si ha per il petrolio!