Voci Siciliane

VICARI RITA VICARI RITA Pubblicato il 11/03/2011

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Non possiamo sapere se l`annessione della Sicilia al resto d`Italia sia stato un bene per la nostra terra, “con i se e con i ma la storia non si fa”... Quello che sostengono gli amici Pietro e Mario nei loro precedenti interventi è vero, basta solo andare oltre a quello che è scritto nei libri di testo che circolano nelle nostre scuole, basta aprire gli occhi e la mente e cercare risposte altrove e la verità prima o poi emerge. Ciò che non si studia nelle nostre scuole è il bagno di sangue che è costato ai siciliani questa annessione fortemente voluta e poi successivamente contestata. Quello che molti di noi non sanno è che nel mese di ottobre del 1860 a Palermo il Consiglio straordinario di Stato costituito da Garibaldi tentò una strategia politica optando per una “annessione condizionata” dell`isola, per consentirle una forte autonomia; il Governo italiano rispose con un netto rifiuto, preferendo una “annessione incondizionata” con la successiva estromissione dei garibaldini dalle cariche amministrative e con conseguente intervento repressivo a qualsiasi azione anti unitaria. Gradualmente il governo piemontese agli occhi dei siciliani apparì come un altro usurpatore. Ai perseguitati dall`esercito italiano che si erano nascosti nelle boscaglie, si aggiunsero i contadini che ribellandosi come i primi ad essi si unirono in banda. Ai “briganti” si aggiunsero gli ex soldati borbonici, i renitenti alla leva , leva incomprensibile per i contadini per i quali la distrazione di braccia dai lavori agricoli significava un ulteriore peso economico . Lo Stato rispose con l’estensione della Legge Pica, pensata quale strumento per combattere il brigantaggio dell’Italia meridionale e la Legge di Polizia con l’abusato impiego dell’istituto dell’ammonizione e del domicilio coatto. I siciliani erano insofferenti nei confronti dei nuovi arrivati, senza contare il numero esoso di eccessi commessi dagli stessi Carabinieri che non venivano mai puniti, agendo questi in regime di sostanziale impunità. Si delineò così una guerriglia che si mosse su due versanti: da un lato le incursioni per razziare e saccheggiare i ricchi proprietari terrieri e dall`altro lato un fronte militare contro l`esercito piemontese. Nel 1861 il brigantaggio raggiunse dimensioni dilaganti, le numerose vittime fecero assumere al fenomeno proporzioni da vera e propria guerra civile, infatti venne proclamato lo stato d`assedio, con rastrellamenti di renitenti alla leva, di sospetti, evasi e pregiudicati. Le rappresaglie furono sanguinose da entrambe le parti, e spesso le masse furono coinvolte pagando con la distruzione di villaggi e fucilazioni di centinaia di contadini ritenuti a torto fiancheggiatori dei briganti. In Sicilia, nel 1863, per la repressione del brigantaggio, fu inviato il giovane generale piemontese Govone, il quale aveva maturato esperienza nel continente e ben sapeva come agire in operazioni di guerriglia. L` ordine del mediocre e borioso generale piemontese era di arrestare tutti quelli che si incontravano per la campagna dell’età apparente del renitente o col viso dell’assassino. Per mesi agì con estrema durezza, poiché, queste furono le sue parole “quelli sono barbari ed incivili”, ma nonostante la reazione negativa dell`opinione pubblica a queste sue pubbliche dichiarazioni, fu lasciato lo stesso al suo posto libero di proseguire. Molti briganti vennero fucilati prima di un processo perché l’ordine dato ai generali non era quello di indagare ma era quello di spargere al Sud un “salutare terrore”. Le inciviltà dei militari venne con forza denunziata in Parlamento dall’ex Ministro del Re Filippo Cordova e dal parlamentare Diego Tajani che poi diventato Ministro di Grazia e Giustizia. Tajani diede da subito la sensazione di avere molto da dire, poiché era stato vittima di decisioni inadeguate e di uomini corrotti. e la storia continua...

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