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IT ALIA REDAZIONE IT ALIA REDAZIONE Pubblicato il 24/10/2012
Aliesi, alfieri di Italianità nella Germania degli anni ‘60

Aliesi, alfieri di Italianità nella Germania degli anni ‘60

Certamente nessuno dei numerosi aliesi (per lo più giovani), che andarono per lavoro in Germania in quel periodo, sapeva dell’esistenza di un trattato internazionale che, a partire dal 1957, istituiva tra l’Italia e pochi altri Stati europei viciniori (6 in tutto) una cooperazione economica, basata soprattutto sullo sfruttamento di risorse naturali del sottosuolo, individuabile nella sigla CEE.

Gli studenti delle scuole superiori ne avevano sentito parlare a scuola, ma la novità anche per loro rimaneva libresca e di relativo interesse, vista la non implicazione diretta: quei Paesi stranieri, pur vicini geograficamente, restavano sconosciuti e lontani nelle loro identità culturali.

Quando, attorno al 1958, un gruppo di essi, studenti del Liceo classico di  Termini Imerese, ebbe la fortuita occasione di permanere per alcuni giorni a Strasburgo, incantevole città dell’Alsazia a confine tra Francia e Germania, iniziò a muovere i primi passi un processo di conoscenza reciproca che ridimensionava luoghi comuni e apriva nuovi orizzonti culturali.

Chi tra loro non poté non meravigliarsi di fronte allo splendore architettonico della cattedrale gotica, dell’intreccio dei canali navigabili, delle facciate tipiche in legno e muratura d’alcune case, del Parlamento europeo, della maestosa imponenza del fiume Reno, delle abitudini culinarie e della birra: un vero vanto ?

Alcuni di essi, conclusi gli studi superiori, ritornarono da quelle parti, soprattutto nella vicina Germania, in veste di “Gaestarbeiter “( lavoratori ospiti ), chi in fabbrica e chi nei cantieri edilizi.

Il mondo del lavoro tedesco, a quel tempo, viveva un periodo di grande espansione e perfino i lavoratori stranieri godevano già di una soddisfacente tutela, salariale e assistenziale. Era relativamente facile trovare lavoro anche senza alcuna qualifica.

Ai cantieri, ”Baustellen”, affluiva la maggior parte degli emigranti, non solo italiani. Per la prima volta, i nostri concittadini aliesi sentivano di essere Italiani. Così dai Tedeschi erano identificati assieme a tutti gli altri, provenienti dalle zone più depresse delle varie province italiane. E l’italianità fu il loro orgoglio e la loro forza di distinzione.

Quanti emigranti impararono in fretta un nuovo mestiere nell’ambito del lavoro che erano chiamati a svolgere, distinguendosi per dedizione e creatività. Quanto calore umano e simpatia condivisero tra loro stessi, nei modesti alloggi in legno, espressamente, predisposti e tra i Tedeschi nelle poche occasioni di incontro che c’erano.

Le relazioni sociali con gli ospitanti non furono inizialmente facili: comportamenti ed abitudini diversi non sempre trovarono un terreno comune di tolleranza e di accettazione reciproca. Si arrivò perfino all’eccesso, ai tempi in cui all’ingresso di qualche Gasthaus (trattoria-albergo) appariva la scritta “Italiener verboten” (vietato agli Italiani). Tuttavia, il tempo sanerà, a poco a poco, queste punte di razzismo. Si affermerà così un’ integrazione di multiculturalità promotrice di reciproco arricchimento civile ed umano.

Quanti emigranti, nella struggente nostalgia di casa, impararono ad apprezzare il lavoro domestico di genitori e mogli, costretti, come erano, a provvedere alla cura della persona e alla preparazione del vitto, sia in baracca che in appartamento. Quanti sacrifici e privazioni dovettero subire, comunque, tutti pur di raggiungere la meta di una vita più dignitosa: finalmente un lavoro diverso da quello talora massacrante o aleatorio, in ogni caso poco redditizio nell’artigianato o nell’agricoltura del paese d’origine.

In Germania, nasceva allora la rassicurazione di fare un lavoro, garantito da norme imprenditoriali e sindacali, pagato adeguatamente a fine settimana: la famosa busta con dentro soldi e cedolino.

Un sogno negato in patria!

L’opportunità del lavoro e la crescita culturale di fatto, in ambienti che tale processo favorivano, non fecero mai dimenticare agli emigranti, in genere, e ai nostri concittadini aliesi, l’appartenenza alla terra d’origine. A tal punto da sentirsi investiti di fatto del ruolo di ambasciatori non solo della cultura del loro paese, ma addirittura di quella della loro Nazione, che sentivano di amare col cuore , ma anche di odiare con la ragione, non avendo essa saputo assicurare loro in patria un lavoro decoroso e redditizio.

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