Adesso se ne sono accorti. Tutti. Informazione, sondaggisti, pol
Adesso se ne sono accorti. Tutti. Informazione, sondaggisti, politologi, partiti, perfino il centro-sinistra. I giovani sono determinanti per vincere e per vincere bene. Nessuno li ha cercati, forse nemmeno voluti. Ma loro si sono ripresi la piazza, la politica e perfino la vittoria. Perché le vittorie di Giuliano Pisapia, Luigi De Magistris, Massimo Zedda sono, innanzitutto, le vittorie di un protagonismo giovanile che smentisce tanti luoghi comuni e che dimostra che le nuove generazioni sono sì disperate e in mezzo al mare della precarietà esistenziale, ma per nulla rassegnate. E’ bastato un appiglio, una luce di buona politica per unirsi e scoprirsi motore e benzina di cambiamento possibile. E’ così che i giovani hanno trascinato i candidati sindaci di Milano, Napoli, Cagliari. Perfino le statistiche dicono che hanno fatto la differenza. A Milano, per mesi, ci hanno raccontato che erano determinanti i moderati, la borghesia illuminata. Balle. Sono i giovani e gli studenti che hanno fatto vincere Giuliano Pisapia, alle primarie come alle amministrative. Come scrive l’Espresso, Pisapia ha ottenuto il 65 per cento dei consensi nell’elettorato compreso tra i 25 e i 34 anni di età. Dieci punti in più rispetto al risultato complessivo (55,1 per cento contro il 44,9 della Moratti). Idem tra gli studenti, dove il neosindaco batte la Moratti 63% a 37%. Sono quei ragazzi che hanno messo in piedi una campagna elettorale perfettamente complementare tra piazza e rete: dai 25.000 per il concerto dei Subsonica all’uso del web come arma più efficace contro la Moratti. Inventandosi, ad esempio, il quartiere di “Sucate” e ridicolizzando un apparato da milioni di euro. Gli stessi ragazzi che animavano quella gioiosa, straripante, infinita biciclettata arancione alla vigilia del ballottaggio di Milano. A Napoli, i giovani sono stati ancora più decisivi. Sono loro che per primi hanno intuito dove stava il progetto vincente, dove il cambiamento di una città data oramai per persa era possibile, perfino tangibile. In netto anticipo rispetto all’imbarazzante balletto dei partiti all’indomani delle primarie, si è creata intorno a Luigi De Magistris un’atmosfera elettrizzante che ha coinvolto tante persone, giovani e non, e che i partiti non hanno compreso fino in fondo. Ma poco importa, è andata bene e il centrosinistra tutto alla fine si è accodato all’ex magistrato, permettendo così a De Magistris di ottenere una vittoria schiacciante: 65,4% contro il 34,6% del candidato pidiellino Lettieri. Ma i giovani, anche qui, hanno fatto di più: tra i ragazzi tra i 18 e i 24 anni De Magistris arriva al 71%, tra i 25-34enni al 67%. Stessa storia a Cagliari, dove Zedda ha definito la sua elezione la “vittoria dei giovani”, di tutti “gli studenti universitari, i volontari, che si sono avvicinati in modo disinteressato e hanno contribuito a questo risultato”. Sono loro che la sera della vittoria hanno trasformato la città in un delirio di bandiere rosse, clacson, canti e balli, una piazza (quella del Carmine, simbolo del centrosinistra in questa campagna elettorale) piena di giovani che, per tanti anni “non sono riusciti a esprimersi” e che ora si “riappropriano della città”. Si è sfatato pure un altro mito, quello dei giovani incapaci di prendere un buon numero di voti alle elezioni amministrative. A Torino, il primo arrivato di Sel, Michele Curto, 31 anni, a lungo responsabile di Libera per l’Europa, ha preso 2225 voti. A Bologna, dietro i big Cevenini e Frascaroli, i primi sono Andrea Colombo, 26 anni, 1306 voti, già consigliere di zona, e Cathy La Torre, 30 anni, 810 voti, avvocato impegnato soprattutto nella difesa dei diritti degli omosessuali. E sono solo alcuni buoni risultati tra tanti. I giovani hanno travolto il tradizionale modo di fare politica e innescato la spinta necessaria a rendere vincenti Pisapia, De Magistris e Zedda. Non solo perché la stragrande maggioranza li ha votati (rispetto al passato che vedeva tendenze opposte), ma perché sono riusciti a trascinarli sul terreno a loro più congeniale, nonché l’unico in cui, di fronte a un centrodestra che spendeva milioni di euro di campagna elettorale, potevano vincere. Un terreno fatto di partecipazione collettiva non come retorica politica ma come concretezza dell’agire insieme, la rete e non la tv come luogo di conflitto mediatico e di informazione, la comunicazione sorridente al posto di un’incapacità cronica della sinistra di uscire dal modello “ciclostile” anni ’50, l’ironia, a volte anche sprezzante, il sorriso e la leggerezza profonda di chi non ha paura di rischiare e guardare al futuro senza ambiguità. Un mix vincente che i candidati sindaco hanno saputo interpretare al meglio e cui si sono prestati, per fortuna, anche i partiti della coalizione, creando un’onda lunga travolgente, che incrementava la propria forza lungo le settimane di campagna elettorale. Questo protagonismo generazionale non è un’uscita improvvisa. E’ il risultato di una lunga onda carsica che parte dall’Europa e che ha attraversato l’Italia. Le proteste che dall’Islanda si sono propagate in Grecia, Inghilterra, Francia, Italia, Spagna e che hanno agitato il continente sono l’emblema di un’insofferenza giovanile cui la politica, di destra quanto di sinistra, non ha prestato attenzione. Lo scorso 14 dicembre, mentre l’opposizione parlamentare pensava di far cadere Berlusconi nel palazzo, la città di Roma veniva messa sottosopra da una rabbia giovanile incontrollabile. La settimana successiva, un immenso corteo studentesco bloccava pacificamente la periferia romana tra gli applausi dei cittadini, per niente infastiditi. Qualche mese dopo, il 9 aprile, 200.000 ragazzi gridavano per le strade d’Italia “Il nostro tempo è adesso. La vita non aspetta”. Un messaggio chiaro alla politica: “non vogliamo più essere raccontati ma raccontarci, perché la precarietà ci divora la vita e vogliamo dire la nostra”. Tumulti che, come la manifestazione delle donne, dei lavoratori, non erano che l’anticipazione di un Paese in cambiamento. Bamboccioni, fannulloni, e con l’inattitudine all’umiltà, come, da veri uomini di governo e con molto aplomb istituzionale, li hanno appellati in questi anni Ministri della Repubblica, di destra e di sinistra. E su cui, in un silenzio assordante, il centrosinistra non ha avuto molto da dire. Per scoprire poi che non si vince, non c’è cambiamento possibile se non si parla di e con una, due generazioni che vivono la precarietà come una questione centrale della loro vita. Il centrosinistra, se vuole tornare a governare, ha l’obbligo di mettere al centro della propria azione un nuovo modo di agire e di fare politica. Che passi per strumenti di coinvolgimento e partecipazione attiva come le primarie e che metta in campo proposte nuove ed europee, elaborate attraverso lo sguardo di chi vive la mancanza di diritti e lavoro ogni giorno e lasciandosi alle spalle formule oramai vetuste. E’ il momento, per il centrosinistra, di provare a dare delle risposte. La lotta alla precarietà non può essere una semplice declinazione elettorale, ma deve essere assunta come elemento centrale di un intero e nuovo progetto di società. E per farlo dobbiamo iniziare a parlare di riforma del welfare, di reddito minimo garantito, di diritto all’abitare e housing sociale, di reddito di formazione. Cioè di riforme, che contemplino ma che non si esauriscano nella questione lavoristica e che abbiano lo sguardo rivolto all’Europa e al futuro. Di questo parlano gli indignados. In Italia, come in Spagna. Piazza Duomo era una festa lunedì sera. E a chi, come me e tanti altri, che dopo Genova e la dissoluzione della sinistra partitica si era spesso sentito solo e disorientato, vedere così tante ragazze e tanti ragazzi nuovamente insieme è sembrato il riscatto più bello. Commentando il voto, Vendola ha detto che “sono le nuove generazioni le protagoniste fondamentali di questa vittoria”. E’ solo l’inizio, aggiungo io.
IL NOSTRO ORECCHIO VIENE CONTINUAMENTE SOLLECITATO DA UNA MIRIADE...