Voci Siciliane

SPEDALE MARIO SPEDALE MARIO Pubblicato il 28/11/2008
Vorrei spiegare perché le mie foto in bianco e nero non sono di grande

Vorrei spiegare perché le mie foto in bianco e nero non sono di grande

Vorrei spiegare perché le mie foto in bianco e nero non sono di grande qualità. Io iniziai ad insegnare a Palermo nel 1971 e qualche anno dopo, contemporeanamente, iniziai a fare la libera professione di “Perito di infortunistica stradale”. Le due attività erano perfettamente conciliabili, sia sotto l’aspetto dell’impegno personale (anche se con qualche sacrificio), sia per quanto riguardava la legalità delle due professioni. Premesso quanto sopra, vi posso dire ch’ero costretto a portare sempre appresso, una macchina fotografica carica ed efficiente che usavo sia per il lavoro, che per le immagini interessanti che di volta in volta si presentavano.. L’abitudine di portare la macchina fotografica sempre dietro, l’ ho conservata, perché non si sa mai in caso di sinistro stradale od altro. Andiamo ai primi anni 70. In quel periodo il colore nelle fotografie era scarsamente usato, costava molto rispetto al bianco e nero ed era di pessima qualità. Le compagnie d’assicurazione per le quali lavoravo, ma anche il Tribunale come C.T.U., pagavano poco le fotografie.. Si usavano macchine fotografiche semplici, per non stare troppo a smanettare e, soprattutto il costo della foto doveva essere il più basso possibile. A Palermo in quel periodo vi erano due o tre studi fotografici che lavoravano solo con i periti d’infortunistica stradale, questi ultimi invece erano tanti. Molti portavamo i rullini a sviluppare in Via Sciuti, dal Sig. Cortegiani, che voglio ricordare ( è passato a miglior vita ormai da diversi anni ) perché era un’ottima persona. Il Sig. Cotegiani, ci vendeva i rullini in bianco e nero ricaricati ed ogni sera, alla fine della giornata lavorativa, si trovava da sviluppare circa 100 rullini che doveva consegnare il giorno dopo. Immaginate se il fotografo poteva perdere tempo a fare qualche ritocco od altro. Lo studio fotografico era come una rosticceria, dove il panellaro frigge e rifrigge le panelle sempre con lo stesso olio ed ogni tanto aggiunge dell’olio nuovo. Così faceva quello studio fotografico con lo sviluppo, man mano che si consumava ne aggiungeva del nuovo (anche lui doveva mantenere i costi bassi). Alla fine, la foto era quella che era, ma era buona per l’uso per la quale era stata prodotta. Di fotografie in bianco e nero, per lavoro in quel periodo, ne scattai a migliaia ed una piccola parte per uso personale e qualcuna di queste, mi permetto ogni tanto, inserirla nei ricordi di “assarca” con la speranza che malgrado tutto, possa essere gradita da Voi, cari amici, sparsi per il mondo.

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