Testimonianze delle comunità aliesi (1860-1932) XV^ parte

Radici & Civiltà

REPORTER REPORTER Pubblicato il 12/09/2005
<b>Testimonianze delle comunità aliesi (1860-1932)</b> XV^ parte

Testimonianze delle comunità aliesi (1860-1932) XV^ parte

Emigrazione verso gli Usa
Testimonianze delle comunità aliesi (1860-1932)



Tesi di laurea della dott.ssa Cristina Guccione.


XV^parte

CAPITOLO IV


A P P E N D I C E

Presentazione


Si ritiene opportuno riportare in questa appendice le fotocopie di una serie di documenti, difficilmente reperibili, tramite i quali, mi è stato possibile l’elaborazione del presente lavoro. Si tratta di materiale che, nel corso della ricerca, mi è pervenuto, per lo più, dagli Stati Uniti d’America da parte di archivi pubblici e privati, da me raggiunti e contattati via e-mail e per telefono.

Per quanto più specificamente concerne gli archivi privati ne ero venuta a conoscenza durante un mio recente viaggio nello Stato di New York e nello Stato della Louisiana, dove ho avuto occasione di incontrare persone particolarmente sensibili alle vicende dei primi emigrati aliesi e abbastanza informate e documentate su queste.


Tra le carte riprodotte in appendice sono, inoltre, inclusi un opuscolo, due lettere personali, alcuni articoli di giornali e fotografie. L’opuscolo riguarda un saggio di Matteo Teresi, edito nel 1932 in un numero di copie ridotte e da tempo caduto in oblio. Sul molto materiale a disposizione è stato scelto quello maggiormente rappresentativo degli argomenti trattati. L’intera documentazione, per quanto è stato possibile, è predisposta nell’ordine cronologico dei fatti a cui si riferisce.


CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Il fenomeno emigratorio verso gli Stati Uniti d’America, che, sin dal 1860, ha interessato o, peggio, ha colpito Alia scemandone la popolazione e dimezzandone le energie giovanili, s’inquadra, certamente, nel clima del movimento di massa di milioni di italiani, provenienti da ogni regione, alla ricerca di migliori condizioni di vita. Ma i risultati di questo lavoro, condotto anche con l’apporto di fonti e di testimonianze italo-americane, ci inducono a cogliere caratteri particolari che non si riscontrano nella più diffusa storiografia sull’emigrazione. Si tratta di aspetti e problemi, qua e là esposti nel contesto della tesi, che, in ogni modo, è utile richiamare e riconsiderare anche per una riflessione conclusiva sulla ricerca effettuata.

Innanzi tutto è bene puntualizzare che, tra gli aliesi, sia quanti all’inizio partirono alla spicciolata, sia quanti espatriarono in gruppo, ebbero prevalentemente come meta o come punto di riferimento lo Stato della Louisiana nelle città di New Orleans e di Baton Rouge. Le ragioni di tale destinazione, volontaria o determinata dalle circostanze, sono, a mio parere, le seguenti :

a) una migliore ambientazione degli emigrati in un territorio sul quale ancora si sentiva la forte influenza francese nei costumi e, soprattutto, nella lingua e nella diffusa pratica della religione cattolica;

b) la campagna pubblicitaria condotta dalle compagnie di navigazione circa la nuova rotta Palermo-New Orleans, interessate a fare conoscere le soddisfacenti condizioni di vita e le molte possibilità di lavoro nel Meridione degli Stati Uniti;

c) l’attività della Chiesa cefalutana, della cui Diocesi faceva parte Alia, volta ad assistere, tramite un apposito Ufficio della Curia collegato con la Santa Sede, coloro i quali decidevano di emigrare mettendoli in rapporto con le parrocchie di New Orleans e di Baton Rouge anche per la garanzia di un lavoro;

d) la piena disponibilità degli aliesi, per lo più di origine contadina, ad accettare in Louisiana il pesante lavoro nelle piantagioni di zucchero coinvolgendo spesso l’intero nucleo familiare, comprese le donne, normalmente esonerate dal lavoro dei campi nel paese natio;


e) l’accoglienza riservata agli aliesi dai compaesani espatriati per primi e dalla Comunità Cefalutana della Louisiana, tanto da non far sentire loro l’immediata esigenza di creare un proprio sodalizio.

Si deve, a mio giudizio, a siffatte motivazioni se gli aliesi, nella loro stragrande maggioranza, partivano con l’intenzione di stabilirsi definitivamente nel Nuovo Continente. Soltanto una minima percentuale di loro, infatti, fece ritorno in paese. Si trattò, per lo più, di persone, quali proprietari terrieri locali, che si erano recate in America più per avidità di ricchezze che per reale bisogno. Sarà lo stesso motivo, nel secondo dopoguerra, a spingere altri benestanti a raggiungere, assieme a vere e proprie squadre di uomini di fiducia, le lande del Brasile, dell’Argentina e del Venezuela.

Altra nota distintiva degli emigrati aliesi – e non solo di quelli trasferitisi in Louisiana – consiste nel fatto che, a differenza di quanto è stato rilevato dalla storiografia sugli italo-americani di origine siciliana – non si è verificato alcun caso di conversione dal cattolicesimo ad altre religioni e, quindi, nessuna delle persone o delle famiglie rientrate si è dedicata ad attività di proselitismo a favore di altre confessioni religiose. Anzi, come si rileva da tutta una documentazione da noi fornita, si è consolidato il legame con il paese d’origine attraverso una scrupolosa osservanza delle tradizioni e dei riti religiosi, come, per esempio, la festa patronale e il folclore in occasione della festività di San Giuseppe.

Risulta che da questa prima emigrazione negli Stati Uniti d’America non giunse ad Alia alcuna specie di rimesse, che, invece, diventarono consistenti durante e subito dopo la Seconda Guerra Mondiale in coincidenza dell’attuazione del noto Piano Marshall. A tal riguardo, negli ultimi anni ’60 e ‘70, diverso sarà l’atteggiamento degli emigrati in Germania, Francia, Inghilterra e Belgio, che, certamente con il proposito di tornare in paese, depositavano nella locale Cassa di Risparmio “Vittorio Emanuele” parte dei loro guadagni.

Da un punto di vista sociologico e politico mi sembra interessante annotare che era ricorrente nelle lettere degli emigrati, da me consultate, un senso di gratitudine nei riguardi del Governo Americano, che, agli occhi degli scriventi, appariva «ospitale» e «rispettoso» dei diritti degli individui. Tale sentimento lascia immaginare la scoperta dello Stato da parte dei nostri espatriati e la nascita, forse inconsapevole, di una coscienza civica e dell’acquisizione di una nuova nazionalità.


Di particolare rilievo nelle vicende degli emigrati aliesi sono la figura e l’opera di Matteo Teresi, un personaggio poco noto, ma meritevole di attenzione per l’influenza da lui esercitata sui suoi compaesani, residenti in vari Stati della Federazione americana. Per l’organicità di questo lavoro, nel capitolo a lui dedicato, si è potuto scrivere troppo poco circa il suo carisma e la sua proficua attività in difesa dei disagiati e di coloro che avevano abbandonato la propria terra per guadagnarsi un pezzo di pane quotidiano.

Mi sono limitata a presentare Teresi come un filantropo, tutto dedito a tendere una mano ai bisognosi, ma, in effetti, c’è molto di più nella sua eccezionale personalità, alla base della quale si scoprono profonde radici culturali. Basta richiamarci alla sua produzione pubblicistica per renderci conto che egli, anticipando la metodologia e la tematica degli ultimi anni ’70, condusse interessanti analisi sociologiche nell’ambito dell’immigrazione italo-americana.

Matteo Teresi descrisse e denunciò, in maniera esplicita, il rischio dell’immoralità tra i nostri immigrati in America, il loro complesso di inferiorità rispetto agli altri gruppi etnici, la tendenza alla «americanizzazione» del cognome e dei costumi di vita, nonché il pregiudizio del Governo statunitense circa il connubio tra analfabetismo e criminalità negli italo-americani. Egli «descrisse» tali fenomeni con l’attenzione del sociologo e li «denunciò» con la grinta del moralista.

Fu costante la raccomandazione ai suoi compaesani di «essere ottimi e laboriosi cittadini della Patria adottiva, memori e orgogliosi della Patria di origine». Non è un caso se, di recente, gli italo-americani di origine aliese, sulla scia dell’insegnamento e dell’esempio del «missionario mazziniano», abbiano voluto rilanciarne i valori e le speranze con la costituzione del sodalizio A.L.I.A. “Associazione Laboriosi Internazionale Aliesi”.


Viste 10016 - Commenti 0
Iscriviti
ed inizia a pubblicare i tuoi contributi culturali