Il fascino dell’Altopiano di Asiago (o dei 7 Comuni) -II-

Radici & Civiltà

REPORTER REPORTER Pubblicato il 23/01/2006
<b>Il fascino dell’Altopiano di Asiago (o dei 7 Comuni)</b>  -II-

Il fascino dell’Altopiano di Asiago (o dei 7 Comuni) -II-



..nell’Opera “L’Altipiano delle meraviglie” dello scrittore Mario Rigoni Stern e del fotografo Roberto Costa, edita nel 2003 dalla Banca Popolare di Vicenza che si ringrazia vivamente per averne autorizzato la parziale pubblicazione in questo sito web.


INTRODUZIONE - II^ Parte -


D'autunno, alla domenica sera, nel centrale Albergo Alpi i cacciatori facevano esporre nelle vetrine i trofei della selvaggina raccolta: cedroni, forcelli, pernici bianche, coturnici, francolini di monte, lepri.

I cacciatori cittadini prima di ritornare nelle loro case o nelle ville di pianura comperavano qualche capo di selvaggina per farsene lustro. Anche i conti Dolfin che avevano villa quassù, ripresero a cacciare sulle nostre montagne; camminavano con i loro cani e avevano le mani inguantate di filo bianco, li seguiva un servitore nero che portava al seguito la merenda e la selvaggina abbattuta.

Ma che discussioni alla sera della domenica nella saletta dell'Albergo alla Rosa! Non i cacciatori erano i personaggi del racconto quanto quel vecchio gallo forcello, quel cane, quelle pernici bianche della Croce del Diavolo, quel cedrone del Boscosecco che distingueva i cacciatori dal tabacco che fumavano e in tal maniera sapeva comportarsi a sua difesa; o quel lepre della Val di Nos che prendeva in giro cani e cacciatori.

I camosci stentavano ad accrescere la loro presenza. Restavano bellissimi esemplari sulle rocce del Campolongo e della Singella, dove venivano ricercati da un bravo cacciatore di San Pietro in Valdastico. Un giorno mio padre mi emozionò indicandomene uno sulle pendici del Portule che guardano la Val Penzola.

A un tratto comparvero i caprioli. Da dove venivano? O dove erano stati fìno allora?. Ora sappiamo che venivano dai Paesi dell’Europa Orientale a causa di quei fenomeni che la natura sa promuovere. Dai Carpazi, dalle pianure ungheresi, dalle montagne austriache e dalle Alpi slovene avevano nel tempo esteso il loro territorio sino a giungere fino qui. Fu nel 1938, ricordo, ma qualche abbattimento si sarà nascostamente fatto anche prima, che tre nostri cacciatori raccolsero un maschio dal bel trofeo in Val di Nos e la cosa fece stupore.

In cinquant'anni, dopo aver ripopolato l’Altipiano, sono ora dilagati nella Pedemontana e nelle valli che si affacciano nella pianura vicentina. Sono ricomparsi in tutte le nostre Prealpi, hanno attraversato canali e strade e campagne raggiungendo i margini delle città e i Colli Berici.

Stanno creando delle enclave dove traffico di automezzi e bramosie di bracconieri li lasciano in pace. Anche perché, quassù a disturbarli sono arrivati i cervi.

Fu trent'anni fa che dopo quasi cento anni un maestoso maschio venne a far visita nei nostri boschi. Come pattuglia esplorante? Il comportamento degli animali liberi in natura è sempre lungimirante con audace prudenza.

Fu ai primi di dicembre del 1969 che il mio cuore si fermò, così che dovettero portarmi all'ospedale. Dopo qualche giorno venne un guardacaccia a salutarmi e mi raccontò del cervo che sicuramente era stato avvistato nei nostri boschi, in quei boschi che vedevo dalla finestra della stanza dopo che ero stato rianimato. Mi venne da pensare: “Anche se non ci sarò più è bello sapere che loro ci saranno”. Anche Walter, il meccanico dell’ospedale venne a dirmi che i suoi segugi avevano inseguito un cervo bellissimo e maestoso con un grande palco di corna che correva con la testa portata all’indietro, facendo nel bosco un fracasso che metteva paura. Incominciava a nevicare e chiusi gli occhi verso il bosco pensando: "Che sia venuto a prendermi?".

Da parte dei cacciatori che salivano dalla Pedemontana, veniva fatta insistente caccia al francolino di monte, Tetrastes bonasia, forse a causa delle sue buonissime carni. Questi cacciatori erano particolarmente abili nel richiamo con il fischietto: stavano immobili nel bosco, chiamavano tsissi-tsi-tsi, arrivava il francolino e quindi lo sparo. Era una caccia perfida, distruttiva, tanto che nelle nostre riserve venne vietata e, dopo qualche anno, vietata anche la caccia al francolino.

Al principio degli anni Settanta vennero presi provvedimenti anche per il Tetrao urogallus, o gallo cedrone, meraviglioso superstite di epoche postglaciali. Si riscontrò che venivano abbattuti più capi di quelli posti in calendario venatorio perché era diventato trofeo da esibire nei salotti e negli alberghi, e per questo lautamente pagato. I cacciatori stessi promossero una rigorosa protezione e su tutto l'Altipiano venne vietata la caccia al più bell'abitante dei nostri boschi.

Dopo aver effettuato sopralluoghi con esperti e considerando che nel passato anche recente i nostri monti erano ben popolati da selvatici, si pensò di rafforzare la presenza dei camosci e d'introdurre i cervi. Nell'autunno del 1986, dal Parco nazionale del Gran Paradiso, vennero qui portati e quindi liberati nelle località a nord di Asiago, otto camosci maschi e quattro femmine; negli anni dal 1989 al 1992, dal Parco Granbosco di Salbertrand si introdussero dodici femmine e quattro maschi; sempre nel 1992 da San Vigilio di Marebbe giunsero in Altipiano due femmine e un maschio.

Queste diverse provenienze davano bene a sperare, difatti ben presto si videro i risultati: i camosci avevano incontrato un ambiente a loro favorevole come clima e ricco di pasture, e regolari diventarono le nascite nelle primavere successive.

I camosci presero possesso tra l'alta Val di Nos e la Valdassa, tra Monte Zebio e Cima Xll; allargarono il loro territorio fino al Monte Verena e a ovest si incontrarono con il vecchio gruppo autoctono di Campolongo, a nord con i camosci che a loro volta avevano introdotto le Associazioni trentine sui versanti impervi della Valsugana. Ora la presenza del camoscio è consolidata e feconda; una gestione oculata ne garantisce la continuità nel futuro.

Negli anni Settanta si ebbe notizia di comparse fuggevoli di qualche cervo. Un giorno andando con gli sci verso Malga Fossetta ebbi occasione di vederne le tracce sulla neve e un salicone scortecciato di fresco dai loro morsi.

Nel 1998, dal Parco del Paneveggio vennero qui trasportati tre femmine e un maschio e, dalla Foresta Tarvisiana, altre dodici femmine e quattro maschi. Anche i cervi diedero buoni risultati e ora. con quel gruppo capitato naturalmente sul ciglio orientale dell’Altipiano, che si presume partito da Lagorai o dalle vette Feltrine, la presenza del regale Cervus elaphus si può dire assicurata. L'inverno appena trascorso mi ha portato la visita di una cerva: una notte calma di neve fresca era passata ai margini del mio orto.

Gli etologi dicono però che la gestione dei cervi sia difficile; disturbano e possono ridurre la presenza dei caprioli. Un esperto forestale mi assicura che quando "si vedono", ossia la loro presenza viene facilmente notata, siamo al punto di intervenire con i prelievi perché procurano danni alla foresta, specialmente alla rinnovazione naturale.

Nei primi anni Ottanta due nostri cacciatori portarono dalla VaI di Susa alcune coppie di marmotte; nel 1986 quattro coppie vennero dal Gran Paradiso e nel 1988 dodici dal Monte Peralba. In questi ultimi vent'anni le marmotte si sono diffuse in un vasto areale che va da Campo Mandriolo a Monte Fior, ossia in tutte le montagne a nord superiori ai 1600 metri. Questa presenza ha sicuramente agevolato la ripresa dell'aquila reale. Almeno tre coppie volteggiano sul cielo dell'Altipiano.

L'Altipiano sta ritornando quello che era cento o duecento anni fa? No, la trasformazione risulta evidente: il carico delle pecore sui pascoli in quota è diminuito di parecchie migliaia di capi; il pino mugo ha invaso i pascoli e chiuso le radure, anche la pecceta allarga il suo territorio.

Le ferite della Grande Guerra si stanno coprendo di vegetazione; non ci sono i carbonai che utilizzano il pino mugo; la montagna è molto più frequentata da turisti, escursionisti e sciatori che non cinquanta e trent'anni fa e anche gli animali si devono adattare alla presenza dell'uomo, che non ha ancora bene imparato come ci si deve comportare nelle loro "contrade".

Per ora gli ungulati sono in espansione, ma i tetraonidi sono in regresso perché è mutato il loro ambiente, anche se la caccia è limitatissima. Magari poche righe, ma anche gli uccelli non stanziali le meritano: le allodole che in primavera venivano in gran numero a nidificare ora sono davvero rare; come rare sono le quaglie; in genere sono di molto diminuiti gli alati che frequentano la campagna aperta, gli uccelli che amano i boschi a volte si manifestano molto numerosi e confidenti. Quasi scomparse ma con un cenno di ripresa si presentano le coturnici.

Proprio ora, mentre scrivo queste note, una voce mi chiama alla finestra invitandomi a guardare il cielo: tre aquile veleggiano alte sopra la casa; una coppia con il giovane dell'anno scorso: lo tengono a contatto fischiando pliic-pliic.

Questa è ora la situazione dei selvatici naturali sull'Altipiano dei Sette Comuni; la Grande Guerra e il comportamento degli uomini hanno contribuito a mutarla nel tempo, eppure le forze della natura hanno grande capacità rinnovativa e riescono a imporsi; se attentamente assecondate e guidate possono anche dare risultati sorprendenti.

di Mario Rigoni Stern

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Mario Rigoni Stern occupa una posizione di assoluto rilievo nel panorama degli scrittori italiani della seconda metà del Novecento. La sua prima opera, Il sergente nella neve. Ricordi della ritirata di Russia. pubblicata da Einaudi nel 1953, è ormai considerata uno dei libri più significativi della letteratura italiana del dopoguerra. Hanno fatto seguito Il bosco degli urogalli (1962), Quota Albania (1971), Ritorno sul Don (1973), Storia di Tonle (1978, Premio Campiello), Uomini, boschi e api (1980), L’anno della vittoria (1985), Amore di confìne (1986), Il libro degli animali (1990), Arboreto selvatico (1991), Le stagioni di Giacomo. (1995), Sentieri sotto la neve (1998), Inverni lontani (1999), Tra due guerre (2000). Per l'editore Mondadori, è di prossima pubblicazione l'opera omnia nella collana I Meridiani.

Roberto Costa, fotografo naturalista, ha raccolto queste immagini nel corso di lunghi anni di appassionata e paziente ricerca, che lo hanno portato a esplorare gli angoli più reconditi e inaccessibili dell'Altipiano dei Sette Comuni in ogni stagione e con qualsiasi tempo. Dalle sue fotografie scaturisce l'invito ai lettori e a quanti vivono la natura con amore e rispetto a custodire l'Altipiano e il suo hahitat con la consapevolezza di doverlo preservare integro per le generazioni future.

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nella foto di Roberto Costa, un esemplare di Tetrao urogallus, o gallo cedrone.


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